Tra i piani studiati nella tarda estate del 1942 da parte della STAVKA non c’è solo l’ operazione “Urano” , anzi questa è solo la prima di una serie di offensive mirate a distruggere i Gruppi di Armate dell’ Asse nel sud del paese.

Il successo dell’ offensiva di novembre, con l’ accerchiamento della 6° Armata tedesca a Stalingrado è la premessa per l’ operazione “Saturno” che ha come obbiettivo lo sfondamento delle linee nel settore del medio Don tenute dall’ 8° Armata Italiana (ARMIR) e da quello che resta della 3° Armata Rumena, per procedere quindi verso sud in direzione di  Rostov,  isolando così non solo il “Gruppo d’ Armate del Don” ,costituito subito dopo gli effetti dell’operazione Urano con lo scopo di salvare la 6a Armata , ma l’intero “Gruppo d’Armata A” spintosi fino al Caucaso.

Schieramento dell’ 8a Armata Italiana sul Don, Dicembre 1942

Tuttavia l’operazione Saturno viene modificata e sostanzialmente ridotta negli obiettivi e nelle forze impegnate a causa della situazione strategica complessiva venutasi a creare nella prima settimana di dicembre.  Nei progetti originali, le truppe nemiche accerchiate nella sacca di Stalingrado avrebbero dovuto essere completamente distrutte in pochi giorni entro fine novembre, rendendo superfluo ogni tentativo germanico di soccorso. Cosa che però non avviene, in quanto il servizio informazioni  sovietico ha clamorosamente sottostimato le forze tedesche intrappolate; non sono 80.000 ma ben 260.000 gli uomini nella sacca.  Pertanto una buona parte di quelle unità tenute di riserva e che dovevano servire per  la penetrazione in profondità vengono impiegate per mantenere l’accerchiamento di Stalingrado, difendendo il perimetro del “calderone” ( i tedeschi infatti lo chiameranno “Kessel”) dai violenti quanto sterili attacchi tedeschi che tentano di farsi strada verso il Volga.

L’operazione “Saturno” diventa quindi “Piccolo Saturno”, con obbiettivi più limitati e più facilmente alla portata.

Nei piani della nuova operazione, una volta sfondato il fronte sul medio Don, non si punterà più su Rostov, ma a ovest su Millerovo  importante snodo per i rifornimenti tedeschi e a sud- est per impadronirsi delle basi aeree dell’ aviazione tedesca, da cui partono gli aerei che riforniscono le truppe accerchiate a Stalingrado, logorando nel frattempo le forze tedesche di Von Manstein distogliendole quindi dal compito di ricongiungersi con le unità intrappolate a est.

Il comandante dell’ 8a Armata Italiana (ArMIR) Generale Italo Gariboldi

L’8° Armata Italiana , guidata dal Generale Gariboldi, sotto il comando tedesco del “Gruppo Armate B”, schiera sull’ ala sinistra a contatto con la 2° Armata Ungherese , il Corpo d’ Armata Alpino (Gen. Nasci) costituito dalle tre divisioni “Tridentina”, “Julia” , “Cuneense” . Il 2º Corpo d’armata (Gen.  Zanghieri ) difende con le divisioni “Cosseria” e “Ravenna” il precario settore centrale tra Novaja Kalitva e l’ansa del Don di Verčne Mamon. Seguono sulla destra lungo il corso del Don, il 35º Corpo d’armata , (Gen. Zingales),  con la 298ª Divisione fanteria tedesca e la divisione “Pasubio”, ed infine il 29º Corpo d’armata tedesco (Gen. Obstfelder) che schiera tre divisioni italiane (“Torino”,“ 3a Celere” e “Sforzesca”) e mantiene il contatto  con il settore del “Distaccamento Hollidt”, sul fiume Cyr e costituito prevalentemente da quelle poche unità scampate della 3° Armata Rumena rafforzate da alcuni reparti tedeschi.

Di riserva dispone di unica divisione, la divisione di fanteria “Vicenza”, posizionata dietro il Corpo d’ Armata Alpino, arrivata in Russia con scopi di presidio e quindi non sufficientemente equipaggiata. I tedeschi già dai primi di dicembre , temono per la tenuta del settore italiano e inviano quanto hanno di disponibile: alcuni reparti di semoventi contro-carro, alcune batterie di cannoni anti aerei (i temibili 88 mm) che si stanno dimostrando efficaci contro i carri armati sovietici e raffazzonate unità corazzate. Forze in complessivo comunque troppo deboli per contrastare l’ Armata Rossa, di cui di nuovo si sottostimano le forze.

Le forze dell’ARMIR dispongono di un buon sistema difensivo organizzato in capisaldi, presieduti da unità a livello di plotone che dominano le vie di comunicazione e controllano con il fuoco incrociato le vie di accesso nemiche. Inoltre si basa sul concetto di difesa elastica, che si è dimostrato efficiente nella prima battaglia difensiva del Don dell’ agosto 1942 anche se stati cedute importanti teste di ponte ai sovietici che risulteranno poi determinanti nelle operazioni invernali; sono inoltre stati stesi anche numerosi campi minati. Questo approccio difensivo però non è condiviso dal comando tedesco, che è contrario ad una difesa in profondità in quanto teme infiltrazioni e predilige quindi una difesa in linea continua vicina alla riva del Don pur sguarnendo le retrovie.  Il comando italiano alla fine è costretto ad adottare il metodo tattico generale deciso dai tedeschi  pur mantenendo  il sistema dei capisaldi.

Nel complesso agli inizi di dicembre, l’8ª Armata conta circa 229.000 soldati dotati di 25.000 quadrupedi, 16.700 automezzi e 1130 trattori; dispone di 1.800 mitragliatrici, 860 mortai, 387 cannoni controcarro da 47 mm, 54 pezzi anti-carro (di origine francese, prede belliche fornite dai tedeschi), 220 cannoni da 20 mm e 960 pezzi di artiglieria, tra cui i modelli più moderni disponibili nell’arsenale del Regio Esercito.

Numerose sono le carenze nelle file italiane. L’equipaggiamento invernale non è adatto, i sistemi radio non funzionano se non sulle brevi distanze, gravi carenze nel sistema logistico, cha fa si che tanto materiale invece di essere distribuito alle compagnie in linea rimanga nei magazzini divisionali, dove verrà poi distrutto per non lasciarlo ai russi. Vi è una scarsa percezione del pericolo che si sta concentrando al di là del Don e soprattutto  mancano riserve meccanizzate moderne al di là dei numeri. L’ARMIR dispone solo di 55 carri leggeri L6/40 e di 19 cannoni semoventi L40., poca cosa davanti ai T34 sovietici. Non dispone di un numero cospicuo di mezzi di trasporto, ed anche le divisioni cosiddette autotrasportabili come la “Pasubio” in realtà non ha un numero sufficiente di automezzi per muoversi autonomamente.

Lo sviluppo dell’ operazione “Piccolo Saturno”

Partendo dalle teste di ponte sul Don, conquistate in agosto, il giorno 11 dicembre si hanno i primi attacchi preparatori delle avanguardie sovietiche. Questi vengono respinti dopo due giorni dai contro-attacchi italiani, ma con il risultato pratico di fatto di sguarnire le poche riserve disponibili.

La vera offensiva si scatena il giorno 16, quando il settore tenuto dalla “Cosseria” e “Ravenna” viene attaccato in massa dalle unità sovietiche. Le pessime condizioni meteorologiche giocano a favore dei difensori. L’artiglieria russa non risulta efficace, e gli aeri non possono volare. Manca anche il fattore sorpresa, visto gli scontri dei giorni precedenti.

Entro poche ore anche gli altri settori dell’ ala destra subiscono la prima ondata della fanteria sovietica. Tuttavia  pur perdendo alcuni capisaldi la linea difensiva regge. Le poche infiltrazioni, vengono fermate dai campi minati e dalla fulminea risposta delle, poche ma efficienti, unità semoventi tedesche.

La notte del 17, il generale Vatutin , capo del gruppo armate russe denominato “Fronte Sud Occidentale” incaricato dell’ offensiva, decide di stravolgere il piano tattico. Fa muovere le imponenti  unità corazzate tenute in seconda linea per sfruttare gli sfondamenti della fanteria e come già avvenuto nell’ offensiva di novembre contro i rumeni, questa mossa cambia le sorti della battaglia.

Questa volta  i campi minati da soli non bastano e i cannoni contro-carro efficienti sia italiani che tedeschi sono pochi, iniziano così ad aprirsi numerosi varchi. La stessa sera del 17 il fronte tenuto dal “Cosseria” e dalla “Ravenna” cede. Le unità di punta dei corpi corazzati sovietici penetrano per oltre 40 km dietro le linee italo-tedesche.

La mancanza di riserve, costringe  a spostare verso sud la divisione “Julia” insieme al Battaglione sciatori “Monte Cervino” e altre unità tedesche nel tentativo di tamponare la falla venutasi a  creare alla destra del Corpo d’ armata Alpino, portando a sua volta la “Vicenza” lungo il Don nella zona dove era posizionata la “Julia”. Si crea una sottile linea di difesa nella zona di Novaja Kalitva, che riesce a reggere agli attacchi, preservando al momento il settore tenuto dagli alpini, ma non può certamente fermare  la penetrazione più a sud delle divisione corazzate russe.

Intanto nelle retrovie italiane è il kaos totale, tra reparti che si immolano eroicamente davanti ai russi e altri che si ritirano in maniera disarticolata. I Russi sono ovunque ma spesso non si sa dove. Il presidio di Kantemirovka , all’ oscuro di cosa sta succedendo, viene attaccato di sorpresa e nonostante la reazione italiana, i sovietici occupano facilmente  la città, e con loro gli ingenti quantitativi di materiali li immagazzinati.

Il 18 dicembre è la volta del settore all’ estrema destra , tenuto dal “Distaccamento Hollidt” a cedere definitivamente, lasciando una voragine alla destra della “Sforzesca”.

Solo il 19 viene dato l’ordine di ripiegamento alle divisioni del 35° Corpo d’armata. La ritirata si svolge nel disordine e la confusione viene ulteriormente accresciuta da una nuova direttiva del “Gruppo d’armate B” che ordina alla “Sforzesca” di ritornare alla linea del Čir dove, completamente isolata e disorganizzata, viene attaccata e praticamente annientata.

Dal 20 dicembre la battaglia assume tre aspetti principali:

  • La ritirata delle divisioni italiane frammischiate alle unità tedesche e rumene sotto i continui attacchi sovietici che mirano al loro accerchiamento e annientamento.
  • La contemporanea progressione in profondità verso sud dell’ unità corazzate russe che mirano a colpire le retrovie del raggruppamento tedesco di Von Manstein e a occupare le basi della Luftwaffe.
  • I tentativi da parte tedesca di costituire una linea di difesa solida più ad ovest.

La ritirata italiana si svolge a – 30° senza mezzi, a piedi, sotto gli attacchi russi. Due sono le direttrici di ritirata. Il blocco Nord, con circa 1.500 tedeschi e 25.000 italiani di quel che rimane delle divisioni “Ravenna”, “ Torino” e “Pasubio”; il blocco Sud con alcuni reparti della “Pasubio”, della “Celere” e i superstiti della “Sforzesca”, frammisti ad altri reparti alleati croati e rumeni. La “Cosseria” è divisa…una parte procede in retrovia al Corpo D’Armata Alpino, il grosso seguirà un suo percorso che la porterà poi a Gomel, passando da Char’kow, alcuni reparti seguiranno la colonna della Tridentina in Gennaio.

Le direttrici del ritirata dei blocchi Nord e Sud

Il giorno 21 il blocco Nord si trova la strada sbarrata dalla 35° Divisione fucilieri nei pressi di Arbuzovka. Si scatena una violenta battaglia che si protrarrà fino alla mattina di  Natale. Nella “Valle della morte”, come verrà poi ribattezzata la conca dove si trova il piccolo paesino, sotto il fuoco dell’ artiglieria sovietica i reparti italo-tedeschi vengono circondati e annientati. Solo piccoli gruppi riescono a passare, i più (circa 20.000) sono morti o fatti prigionieri.

Le unità scampate alla tragedia si riuniscono nelle cittadine di Čertkovo ed a Melovoe , insieme al contingente di guarnigione riescono  tenere le posizioni fino al 16 Gennaio consentendo ai più di sganciarsi, raggiungendo così le nuove  linee dell’ Asse più a ovest.

Non differente il calvario del blocco Sud. Già il 19 alcuni reparti della “3a Celere” vengono annientati dopo aver cercato di aprirsi un varco a Kalmykov. Solo il 1 Gennaio, dopo un estenuante marcia nella neve, quel poco che rimane delle divisioni italiane sfuggite alla tenaglia russa, raggiunge la  linea tedesca a Belaja Kalitva.

Altri elementi italiani (circa 5.200 soldati dei reparti di retrovia) rimangono accerchiati il 26 dicembre nella città di Millerovo insieme a considerevoli forze tedesche.  Il 14 gennaio 1943, quel che rimane della guarnigione riesce ad aprirsi una via e raggiungere le nuove linee difensive.

Intanto i russi, che hanno tagliato in perpendicolare le direttrici della ritirata italiana, hanno raggiunto numerosi aeroporti tedeschi, cogliendo così uno degli obbiettivi prefissati; hanno neutralizzato la capacità, già scarse malgrado le promesse di Goering, di rifornire la sacca di Stalingrado via cielo.

Il Feldmaresciallo Erich Von Mainstein che ha ricevuto dal Fuhrer in persona l’ordine di costituire il 2Gruppo Armate Don” per salvare la 6a Armata nel “Kessel” di Stalingrado

Von Manstein , dopo aver avuto il benestare da Hitler, distoglie numerose unità dalla forza che doveva spingersi fino a Stalingrado per costituire un nuova linea del fronte e fermare l’offensiva russa, riuscendo in qualche caso anche a ricacciare indietro le unità di punta sovietiche, che comunque hanno  subito perdite durante l’offensiva e iniziano a trovarsi con seri problemi di rifornimento.

Ma di fatto, con la conclusione dell’ operazione “Piccolo Saturno” i tedeschi devono desistere da qualsiasi tentativo di portare in salvo la 6° Armata. Non solo, ma visto la situazione complessiva del teatro meridionale, alla fine di del mese dopo lunghe discussioni, Hitler ordina il ritiro del “Gruppo Armate A” dal Caucaso, che corre il rischio  di rimanere intrappolato in caso di un ulteriore massiccia offensiva sovietica. Diventa cruciale a questo punto mantenere libero il corridoio di Rostov, a scapito della 6a Armata e del fronte sull’ alto Don.

Per gli italiani è una disfatta. All’ 8° Armata dei 4 Corpi d’ Armata rimane solo quello Alpino, il cui settore non è stato direttamente coinvolto dal grosso dell’ offensiva dell’ Armata Rossa, ma solo da sporadici attacchi di disturbo.

Tuttavia la situazione appare già chiaramente compromessa. A  sud del suo schieramento vi è una labile linea tenuta dalla “Julia”, che si sta logorando per tenerla, e da alcune decimate unità tedesche che verranno riunite nel 24° Panzerkorps, che all’ atto pratico è poco più che una bandierina fissata sulla carta ma di cui i pochi mezzi scampati dalla successiva offensiva di Gennaio, risulteranno utilissimi in seguito nelle fasi della ritirata dal Don. Alla sua sinistra vi la fragilissima linea tenuta dall’ armata ungherese, decisamente male equipaggiata.

Il destino è ormai segnato, si dovrà attendere solo poche settimane per il calvario degli Alpini.