La storia degli IMI ebbe inizio l’8 settembre 1943, il giorno dell’armistizio sottoscritto dall’Italia con le Forze Alleate, una data che cambiò, dopo tre anni di guerra, il corso del Secondo conflitto mondiale.

Catturati dalle truppe tedesche in Francia, Grecia, Jugoslavia, Albania, Polonia, Paesi Baltici, Russia e Italia stessa, subirono la deportazione e l’internamento nei campi di concentramento tedeschi che erano sparsi un po’ dovunque in Europa, soprattutto in Germania, Austria e Polonia.

I militari italiani catturati, deportati e internati nei lager nazisti, furono definiti IMI – Internati Militari Italiani, con provvedimento arbitrario di Hitler (1° ottobre 1943), per sviare la Convenzione di Ginevra del 1929 sulla tutela dei prigionieri di guerra. Essendosi rifiutati di collaborare con il nazifascismo, furono destinati al lavoro coatto, sfruttati come forza lavoro per l’economia del Terzo Reich. Sottoposti ad un trattamento disumano, subirono umiliazioni, fame e le più tremende vessazioni.

La maggior parte degli arruolati nel regio esercito italiano erano per lo più giovani chiamati alle armi poco più che ventenni, o richiamati alle armi, uomini educati sia all’obbedienza fascista che agli ideali del Risorgimento.

La vita nei “Lager” è una strenua lotta per resistere alla sopraffazione fisica, psicologica e morale.

La fede religiosa ha per molti un ruolo importante, grazie all’opera incessante dei circa 250 cappellani militari internati. Poco dopo l’ingresso nel lager, gli IMI sono posti di fronte a pressanti richieste da parte dell’amministrazione tedesca che promette un trattamento migliore quanto a logistica e cibo, in cambio di una semplice firma di adesione a continuare la guerra con l’esercito dell’istituita Repubblica di Salò, a fianco dei tedeschi.

Gran parte degli IMI, circa 600.000 su 700.000, pur sapendo il duro prezzo della propria scelta, rifiuta ripetutamente qualsiasi forma di collaborazione. Chi per un senso di fedeltà al giuramento prestato (al Re), chi rancoroso verso l’ ex-alleato dopo le esperienze in vari teatri di guerra, chi disilluso dalle promesse del regime, sicuramente moltissimi stanchi di tre anni di guerra.

Questa resistenza a oltranza si protrae per 19 mesi, dall’armistizio alla liberazione, una volontaria decisione che richiede una vigilanza attiva e una consapevole fermezza d’animo, nelle condizioni ambientali più tragiche e disperate.

Circa 50.000 di essi persero la vita nel corso della prigionia per malattie, fame, stenti, uccisioni. Coloro che riuscirono a sopravvivere furono segnati per sempre.

Nell’Italia del primo dopoguerra, la tragica vicenda degli IMI è presto dimenticata. Al loro ritorno in patria essi sono accolti con indifferenza e diffidenza, se non con ostilità, da un popolo che non vuole più sentir parlare di guerra. Gli IMI rispondono con il silenzio, facendo scattare un vero e proprio meccanismo di rimozione, convinti quasi dell’inutilità del sacrificio loro e dei caduti.

Solo dalla metà degli anni Ottanta gli studiosi hanno iniziato a trattare questo argomento: tardi, ma forse ancora in tempo per far conoscere questa pagina di storia e rendere il giusto omaggio.

Fonte: “BREVE STORIA DEGLI IMI: Internati Militari Italiani” il galileo.eu